13 maggio 2007

Atene, 410 a.C. in un salotto come tanti (part two)


Riassunto delle precedenti puntate:

Agatone ha ragione, Come puo' Aristode' Perder tempo, ahime' Nel simular tenzone?

Come puo' Aristodemone, Alle fresche vagine Dallano vergine, Preferir la lezione?

Sara' mica ricchione Il nostro Aristodemo, Il cui piacere estremo E' la doccia in comunione?

Come puo' portar rispetto Solo a Zeus il Gran Villoso, Quando la' nel bosco ombroso A lui la virgo mostra il petto?

E Dioniso molto offeso Lancera' maledizioni Su quei giovani secchioni Che il suo vino non han preso.

Agatone sono certo Che di armi non e' esperto E in battaglia chi piu' temo E' il nostro caro Aristodemo.

Ma se penso a quella sera Delle molestie alla vestale, Noi tutti in gruppo si era Uniti nellatto di sfondare

Tutti tranne Aristodemo Che da solo ci guardava Tra le mani aveva il remo Che con gusto massaggiava.

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Socrate: “Caro Aristodemo, non lasciarti tangere da tale cinismo. Credimi, Agatone neanche immagina quale divina soddisfazione vi sia nell’urlo di Ares il Distruttore, che prorompe spontaneo nell’esultanza del vincitore di un combattimento. È un momento, pochi battiti di cuore, in cui l’uomo, illuminato e annullato al tempo stesso dal dio, ne può assaporare l’incommensurabile potenza.
In quel momento di vittoria, nulla è risolto della vita terrena, ma nulla conta più.”


Aristodemo: “Sì, presumo in effetti che un’esperienza simile sia ristretto privilegio di chi si dedica alle armi.”

Agatone: “Ammesso che esultare come una scimmia possa dirsi esperienza trascendente, stiamo dando per scontata la vittoria, il che può valere forse solo per un talento come Aristodemo, ma non certo per la maggior parte dei combattenti.”

Aristodemo: “E’ ancora diverso da ciò che dici. Tu mi lusinghi, Agatone, ma ti assicuro che nemmeno Ercole in persona affrontò mai alcun duello sicuro del buon esito.”

Agatone: “E allora, suvvia amici, non vedete anche voi ora chiara l’inutilità di tanta pena a fronte di un’assai incerta ricompensa?”

Socrate: “Calma, calma Agatone. Certo vincere è difficile. Molto difficile.
Nell’inseguire una vittoria, durante un combattimento, un guerriero può trovarsi ad affrontare le difficoltà di una vita intera condensate in pochi attimi.
Continuare a imporsi sugli avversari a lungo, poi, può essere praticamente impossibile, quando lo spirito guerriero si infiacchisce, perché gravato di soddisfazioni passate e non più affamato di gloria. Ma proprio per questo, io credo che ogni singola vittoria, anche se minuscola, valga sempre almeno tanto quanto è costato ottenerla.
L’arte del combattimento insegna anche questo, cioè che vi può essere soddisfazione solo a seguito di grande e duraturo impegno.”


Agatone: “Ma, caro Socrate, tu stai adducendo delle argomentazioni metafisiche, per giustificare qualcosa che però è molto, e, anzi, esclusivamente fisico. La validità di ciò mi pare questionabile. Come mi giustifichi fisicamente un’attività violenta, che non fa altro che prosciugare le energie, esponendo inoltre chi la pratichi al rischio di perniciosi incidenti?”

Socrate: “Dal punto di vista fisico, Agatone, non posso negare ciò che asserisci. Sicuramente l’allenamento esaurisce le energie dell’atleta. E il rischio di farsi del male sussiste. Innegabile.
Ma non è forse l’utilità di questo che ci insegna Eschilo nel suo Agamennone teatrale? E cioè che è solo attraverso il dolore, o la fatica nell’istanza specifica, che si può migliorare sé stessi, fortificarsi nel corpo e nello spirito. Se non ti bastano le parole del saggio Eschilo, hai davanti a te la dimostrazione di ciò in carne ed ossa.
Aristodemo, ti ricordi quando impugnasti per la prima volta una spada?”


Aristodemo: “A quattordici anni, mi pare.”

Socrate: “Ebbene non credo di farti un torto ora, dicendoti che tu allora sembravi uno di quei giovinetti, figli di qualche satrapo dell’Anatolia, che da là vengono ad Atene a studiare le statue di Fidia. Questi ragazzi, ricchissimi per nascita, vivono qui come a casa loro, costantemente circondati dal lusso e dalle comodità. Come sono deprimenti a vedersi… nelle loro vesti di seta dai colori sgargianti… Questi opulenti sudditi di Artaserse mi sembrano essere schiavi a loro volta. Schiavi delle loro portantine, giacchè le loro gambe non sopportano lunghi viaggi. Schiavi dei loro servi, giacchè necessitano di qualcuno che li protegga con dei teli dal Sole intenso. Schiavi, insomma, del loro stesso oro.
E tu, Aristodemo, mi parevi proprio uno di loro: molle e bianchiccio nel corpo, e molle nella mente, intimorito com’eri dai tuoi più esperti compagni d’armi.
E invece oggi guardati: sei sano, bello e forte, così come è giusto che sia un libero cittadino ateniese. Credi forse, Aristodemo, che in questa tua metamorfosi di crescita, i 6 anni di pratica con la spada non abbiano giocato un ruolo primario?”


Aristodemo: “Beh…ora che me lo chiedi…direi di sì.”

Agatone: “Ma che intendi Socrate? Le tue parole non mi sembrano meno doppie di quei maestri sofisti che tanto critichi.”

Socrate: “Quello che intendo, Agatone, è che un cittadino ateniese, intrinsecamente con la propria libertà, porta in sé quelle risorse mentali e fisiche tali da perseguire liberamente il bene proprio e della propria città; a differenza di un suddito persiano, che può permettersi di non esercitare la propria mente e il proprio corpo, ma a prezzo di un’esistenza di schiavo assai miserabile. In questo contesto, l’attività atletica svolge come sappiamo un ruolo primario, ma in particolare proprio l’arte di combattere si presenta come particolarmente adatta ad esercitare contemporanemente e armonicamente psiche e fisico di un individuo.”

Agatone: “Non sono convinto: ammesso che la spada abbia avuto benefici effetti sul fisico di Aristodemo, che grazie ad essa si è irrobustito in modo aggraziato e virile, quale sarebbe l’esercizio mentale nel menare colpi con il braccio?”

Socrate: “Credo che ancora una volta potrà essere il nostro giovane amico a dartene spiegazione. Aristodemo tu studi sofistica no?”

Aristodemo: “Sì, per diventare un giorno retore”

Socrate: “Ebbene, se richiami alla memoria quel tuo recente combattimento contro il campione di Rodi, credi ti renderai conto che l’analisi orientata alla tattica competitiva non è certo prerogativa o invenzione del tuo maestro Gorgia."

Aristodemo: “Non capisco che intendi, Socrate.”

Socrate: “Ricordi come andarono le cose?”

Aristodemo: “Sì, certo! Ricordo quel combattimento con grande gioia e soddisfazione”

Socrate: “A chi lo dici… mi hai fatto vincere 300 dracme quella volta… ma tornando a noi, ricordi allora che rispetto al tuo avversario pagavi un consistente svantaggio di esperienza, essendo lui di quasi dieci anni più vecchio di te, e pure in statura e peso di certo egli ti superava. Eppure…”

Aristodemo: “Infatti mi colpì lui per primo, e brutalmente.
Dopo aver incassato, capìì che non avevo la forza neanche per parare i suoi colpi, potevo solo cercare di evitarli superandolo in rapidità.
Lui si esaltò nell’inseguirmi, mi sfiorò ancora due volte.
Per un attimo disperai, perché tale era il divario di forza… e non potevo certo continuare a sottrarmi a lungo ai suoi colpi che mi incalzavano.
Credo però che in ciò la sete di sangue e gloria abbia offuscato un poco la sua mente.
Voleva distruggermi, per avere il massimo effetto sul pubblico, ma vedendo che non riusciva più a colpirmi, cominciò a ridurre sempre di più la distanza prima di sferrare i suoi attacchi.
Io avevo sempre più difficoltà a scappar via.
In compenso avevo individuato un suo modo piuttosto ripetitivo di prepararsi a colpire. Si poteva individuare un preciso momento in cui caricava i suoi enormi muscoli, e anche intuire la direttiva dell’attacco, che preferenzialmente era dall’alto in basso, per sfruttare al massimo la sua massa.
Alla sua ennesima preparazione ci ritrovammo vicinissimi.
Ebbi paura.
Troppo vicino per scappare, troppo debole e leggero per parare.
Puntai dritto al suo petto mentre lui ancora caricava il colpo, e finimmo entrambi a terra.
Ma io fui subito capace di rialzarmi, puntai la mia spada alla sua gola, e mentre i giudici mi assegnavano la vittoria, lui ancora non riusciva a respirare per il colpo al petto ricevuto.”


Socrate: “Senti Agatone? E non sono le dispendiose lezioni sofistiche a insegnare tutto questo, no… sono le ruvide e pesanti armi, sono le ore sotto il sole, nella polvere, nella sete. Ma non è solo la tattica, l’analisi di problemi e la sintesi di soluzioni…ci vuole anche la capacità di mettere in atto col corpo ciò che la mente elabora, laddove in un battito di cuore si decide la vittoria o la sconfitta.”


To be continued...

Alfred O'Law


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