24 maggio 2007

Walter

Lui con la spada può fare quello che vuole, anche tirare di scherma.

Il buon Dio gli ha messo in mano uno dei migliori controtempi in terza di tutto l’emisfero boreale oltre all’unica rimessa al piede mai concepita e con questi cerca di dirci che un’altra scherma è possibile.
E tu puoi solo guardare. Infatti parlare di scherma con lui è come farlo con un bambino. Quando tira è come se fosse inconsapevole, in trance. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi se no ci esci matto. La scherma è piena di queste cose.

Ecco qualcosa che dovrebbe chiarire la situazione: è successo alcuni anni fa a Firenze, al tempo degli open stile G.P.G. e delle pause bibliche tra un turno e l’altro. Vinti gli assalti del proprio girone Walter si avvicina col suo asciugamano avvolto intorno al collo e rivolgendosi candidamente al primo consocio riconoscibile: “Faccio un salto nel Mugello a visitare un agriturismo dove vorrei andare quest'estate con mia moglie. Dovrei tirare tra un paio d’ore, nel caso fammi uno squillo” (bisogna aggiungere che era la metà degli anni 90 e possedere un telefono cellulare difficilmente coincideva con la capacità di fare podio ad una gara di scherma). Beh, prenotati stanza e ristorante una sessantina di chilometri più in là, si piazzò in fine secondo ma non prima di aver schiaffeggiato Cuomo, il quale ricordo nell’imbarazzo di provare a metà assalto l'impugnatura francese, nella speranza di trovare una risposta a quei dubbi esistenziali che colgono frequentemente gli avversari di Walter.
Ma Walter è anche un manager. Per questo gira voce che le gare vengano organizzate sempre in prossimità di qualche cliente che deve andare a trovare nei suoi giri di lavoro. Spesso si presenta a fondo pedana col Financial Time e in base alle sue angolazioni puoi capire l’andatura di Tokyo o Wall Street.

Il 28 maggio 2005, alle 17:47:09 a 33 secondi dal termine dell'assalto, un quarantenne Walter conduce per 14 a 11 la finale di spada maschile dei Campionati Italiani Assoluti, sul detentore della Coppa del Mondo Stefano Carozzo.
Un’ora prima, per accedere agli ottavi, aveva eliminato l’olimpionico Alfredo Rota per 7 a 6. Alla priorità. Con una botta al piede (io credo perchè infastidito dal non averla avuta lui).

D'un tratto una scomunica graffia l'atmosfera rarefatta del Teatro Lyrick. Netta, chiara, limpida: “Appena mette la quindicesima saltiamo tutti sulla pedana e lo lanciamo per aria!”.

Alle 17:47 e 42 secondi finisce sconfitto 15 a 14 (vedi il video).

Contro certe cose non può nulla neanche Walter.




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Atene, 410 a.C. in un salotto come tanti (final)


Alcibiade: "Parole sagge, caro Socrate. Non posso fare a meno di esprimermi a questo punto, perché penso che questo sia un grande insegnamento delle armi. Non tutti i momenti della nostra vita hanno uguale valore. La gran parte di essi è piuttosto piatta, vuota, al più segnata da fatica o riposo, dolore o piacere. Ma i momenti in cui le cose cambiano, i momenti in cui un uomo, un individuo, può caratterizzare di sé la realtà, quei momenti sono rari e fugaci.
È in quei momenti che i grandi uomini sono pronti a sfruttare l’opportunità, pronti a mettersi in gioco completamente per cavalcare il fato se propizio, o per smentirlo se avverso.
Sono attimi, in cui spesso si condensa il risultato di lunghissime fatiche, in cui è possibile mandare tutto all’aria o fare gran bottino. Attimi in cui è necessario saper mettere in atto il potenziale acquisito, per ottenere il massimo sul campo. Il che mai è sicuro."

Socrate: "Come darti torto, caro Alcibiade? La certezza non esiste nel combattimento. Finchè si è entrambi in piedi si può vincere e si può perdere.
Perciò mai confidare nel buon esito di qualcosa che è incerto. Le armi sono maestre di vita anche in questo, perché l’esperienza ci insegna che gli dei tendono a dannare coloro che sono troppo sicuri di sé. Sappiamo tutti che l’arroganza attira confusione e calamità, causando rovina.
Ebbene, nell’inseguire una vittoria, il fatto che la sconfitta sia sempre in agguato, e che vada contemplata come possibile esito, è una verità che si guadagna combattendo e si spende vivendo. L’apprendere questa verità ripara l’animo umano dal rischio di diventare arrogante, dal rischio di sentirsi illusoriamente vicino agli dei. Questa verità richiama insomma l’animo umano alla sua misera natura. Ma ciò è bene, è uno scudo di verità che ci ripara dall’ira degli dei.
Colui che in combattimento viene sconfitto, e impara ad accettare la sconfitta, saprà anche poi risollevarsene con dignità e rinnovato vigore. Colui che in combattimento vince, apprende quanto difficile da ottenere sia la vittoria, quanto essa richieda la massima determinazione mentale e fisica, e quanto essa sia prostituta di strada, piuttosto che amante fedele, nei confronti dell’uomo che la ottiene.
Tornando ad Aristodemo e ai suoi dubbi, da cui eravamo partiti, non credo di chiedervi grande sforzo se vi esorto a figurare come tutti questi insegnamenti delle armi si possano tradurre identici dal ginnasio al tribunale, all’agorà, agli affari e al mercato."


Agatone: "Grande Zeus…"

Aristodemo: "Saggio Socrate non ti capisco: che cos’ha in comune il freddo e buio marmo del tribunale con la polvere bollente del ginnasio?"

Socrate: "Suvvia, giovane atleta e studioso…"

Aristodemo: "Ma…"

Socrate: "Quando per una causa civile, in tribunale, affronterai un avvocato, che so…uno del calibro di Lisia ecco…credi che il confronto sarà meno serrato e spietato dei combattimenti che oggi affaticano le tue membra? Credi che ti verranno perdonati gli errori solo perché ivi è il verbo, invece della mano, a parare e offendere? Credi che il tuo avversario non spenderà ogni sua capacità ed energia per difendere il suo cliente a scapito del tuo?"

Aristodemo: "Sì, comincio a capire che cosa intendi, Socrate."

Socrate: "Benissimo. Potremmo trovare le medesime conseguenze anche in altri esempi applicativi, come il commercio, che può essere, se possibile, campo di scontro ancora più spietato del tribunale.
E non c’è da illudersi: ogni confronto umano, per quanto raffinato, colto, elevato, nobile, prevede ostilità e competizione.
Le armi ci offrono occasione di distillare questi meccanismi, per apprenderli senza timore e affrontarli con massima probabilità di successo.
Perciò animo, giovane amico mio! perché vedrai molto presto che saper combattere con la spada, anche se non sarà il tuo mestiere, ti sarà sempre di grande giovamento.
Farà di te un uomo più forte nel corpo come nell’animo, capace di impiegare in modo sinergico le proprie risorse per perseguire i propri scopi, pur nelle grandi difficoltà."



Così parlò Socrate, da tutti ritenuto sapiente, meno che da sé stesso.

Gli amici poi sigillarono la saggezza delle sue parole consacrando agli dei grandi libagioni di vino, insieme e in allegria.


Alfredo Di Legge

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21 maggio 2007

Chuck Norris ha vinto i tornei di scherma cambiando sesso al suo televisore piatto

Chuck Norris sa fare la flèches al piede.

Chuck Norris non non si difende e non contrattacca. Attacca e basta.

Chuck Norris può anche coprire l’intera pedana con un affondo. Se si trattiene...

Chuck Norris può ancora fare la flèches di sciabola, nessun arbitro ha mai avuto il coraggio di contraddirlo. Nesuno.

Chuck Norris è carabiniere, poliziotto, finanziere, della forestale e della penitenziaria tutte insieme.

Chuck Norris si allena spesso senza maschera e senza divisa. Anche senza passante, l’apparecchio si accende dalla paura quando lui lo guarda intensamente.

Chuck Norris è ambimancino.

Srecki era in realtà un pupazzo telecomandato da Chuck Norris. Su Kolobkov ci sono ancora dubbi...

L’unico motivo per cui Mazzoni si ricorda tutte quelle cose, è che Chuck Norris gliele ha spiegate tempo fa.

Chuck Norris è maestro di sei armi.

Chuck Norris è il mostro finale che i vincitori dell’olimpiade di Pechino 2008 dovranno affrontare la sera dopo la gara.

Chuck Norris può far applicare la convenzione anche quando tira di spada.

Chuck Norris ha il dono dell’ubiquità. Infatti si allena a Vigna di Valle, a Lignano e ad Ancona contamporaneamente. In armi diverse.

Chuck Norris è il motivo per cui sono state inventate le corazzine e i piastroni per i maestri.

Chuck Norris può fare le gare a squadre da solo.

Chuck Norris può far iniziare le gare in orario. Anche con Aru in direzione.

Chuck Norris sposta la pedana con le gambe quando accelera il ritmo.

Chuck Norris è il padre segreto di tutti i campioni del mondo di spada della storia. Anche di Jannet...

Chuck Norris aveva una spada elettrica già negli anni trenta.

Chuck Norris ha più volte vinto il trofeo Pellegrino di Milano tirando di fioretto.

Un risucchione di Chuck Norris è la vera causa dello tsunami del dicembre 2005.

Chuck Norris una volta si è arrabbiato e ha lanciato una maschera alla fine di un assalto: questa gira ora intorno alla terra come satellite naturale.

Chuck Norris può rompere una lama con un dito, ma può aggiustarla con il solo sguardo.

La sacca di Chuck Norris si porta in giro da sola.

Chuck Norris ha vinto un assalto con Martinelli da ubriaco. (o non era lui!?)

Chuck Norris capisce i suggerimenti a bordo pedana e le imprecazioni degli atleti in tutte le lingue, per questo motivo nessuno urla od esulta mia con lui. Nemmeno Loit.

Chuck Norris ha vinto più volte il Trofeo Noris Felloni.

Chuck Norris ha vinto i mondiali assoluti da cadetto. E i mondiali cadetti da assoluto.

Chuck Norris ha inventato la parata di terza.

Le spade di Chuck Norris reggono tutte almeno 75 kg.

La divisa di Chuck Norris non puzza mai, mai.

Chuck Norris ha FINITO la birra del palazzetto di Tauber alla festa dopo la gara. Dopo aveva ancora sete.

io sono io

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15 maggio 2007

Cronaca di una gara. Dal futuro.

La gara inizia alle dieci, sono all’Arena Centrale per le nove. Vado dritto verso uno dei tanti magnetizzatori, faccio scorrere il mio pass nella sottile feritoia, una luce rossa poi una verde ed ecco qua, sono iscritto. L’aggeggio rilascia come al solito anche un buono pasto e tre pasticche plurivitaminiche. Ne metto una sotto la lingua e cazzeggio un po’ per il luogo di gara: riscaldarsi, tanto, è questione di pochi secondi.
Faccio un giro per le arene, prima quelle piccole per i gironi, poi quelle grandi per le dirette. L’arena della finale, come al solito, è chiusa. Chissà cos’avrà in serbo, stavolta. Spero niente Corpi Contundenti e Lance Lunghe…per quanto olografici e di “danno sportivo” non può non sembrarmi, stilisticamente, un ritorno al medioevo della scherma. Voglio dire, lance e martelli nel 2210, ma andiamo. Tanto vale allora rimettere pedane dritte, rulli e cavi dietro la schiena che passano lungo il braccio come quei poveri cristi nel duemila. O giù di lì.
Torno alla zona iscrizioni e noto che l’afflusso di atleti ha raggiunto l’apice: è quasi ora di spogliatoio. Mentre imbocco la gradinata che porta al piano sotterraneo, la mia sacca nuova nuova sbatte contro la base del corrimano. Pianissimo, giuro. Naturalmente si ammacca. Maledette leghe ultraleggere. Raggiungo lo spogliatoio che mi è stato assegnato, passo attraverso le porte automatiche e inizio a cambiarmi e collegarmi. Prima di tutto, i cavetti dei nano-innesti: cerco con le dita i piccoli buchi alla base del collo e li inserisco, lasciando pencolare sulla schiena le altre due estremità libere. Poi, la divisa: nerissima e fresca di bucato. Allaccio il velcrocollante alle caviglie e ai polsi, lasciando aperto quello al collo; poi faccio passare i cavetti da due fessure e li collego al minuscolo neurostimolatore inserito nel tessuto. Indosso gli stivaletti aderenti e sostituisco la suola usurata con una nuova in lattice indurito. Non vi dico il prezzo, i soliti ladri. Per finire, monto gambali, conchiglia, pettorali e spalline di sottilissimo vetro morbido. Et voilà, son pronto direi.
Faccio un giro per gli stand, soprattutto armerie e impianti corticali, i più interessanti come sempre: armi laser, olografiche, metallo invisibile e vibro-lame da una parte e nano-innesti, chip cortico-spinali, gangli artificiali e psico aggeggi vari dall’altra. I nanochirurghi dietro ai banconi si sbracciano e urlano peggio che a una televendita.
Guardo e sbavo, come tutti gli altri. Un cazzo di paese dei balocchi, ecco cos’è. Più ferraglia ti innesti poi, più creatività e intelligenza intuitiva perdi, è risaputo. Conosco gente che tira completamente scollegata, gente che è andata ai mondiali. E le tecnologie che implementano le abilità dell’atleta oltre la soglia 7 sono illegali. Chi ci prova, si becca il nero e una multa disumana. Giusto. Faccio controllare tutte le armi. Una vibro-lama è incostante e la katana di vetro è scheggiata sotto il limite consentito. Il resto è a posto. Poteva andarmi peggio.
Il plasma alla parete annuncia i gironi. E’ ora di scaldarsi: accendo l’impianto muscolare. Tre minuti dopo, sono pronto.

…la diretta…ora di fare sul serio...mi si è rotto uno degli aspiratori, la metà destra del corpo sta grondando…quanto corre questo…ma prima o poi t’acchiappo, non puoi girare in tondo per sempre…azzo usi la katana con lo scudo poi…ora salgo sulla collinetta centrale dell’arena e lo gestisco di scherma occidentale…una vibro-spada e uno scudo medio, ecco cosa…devo chiedere l’alt…occhio ai fendenti…se no due spade di vetro, ultimamente me la cavo con le armi doppie…mmm…dov’è il maestro di scherma orientale?...mi direbbe: katana, katana! sempre meglio katana!...sti cazzi…male al polso…io la odio la katana poi…una volta uno c’aveva un’arma sola, un solo stile…e l’avversario anche…bei tempi…anzi no…cioè, come uno che ascolta solo un genere musicale…sì, gran cosa la riforma di Totalizzazione della Scherma…indice di evoluzione, secondo me…sto rallentando…il visore al polso dice che le endorfine sono a manetta…ma perdo potassio e calcio a vista d’occhio cristo santo…vuole farmi stancare…ci sta riuscendo…son troppo grandi le arene delle dirette…lo scudo piccolo è un’inculata, serve a un cazzo…altro neurostimolante và…ne ho ancora quattro per tutta la gara…ma quanta gente c’è sugli spalti?...stasera mi sbronzo, comunque vada…

“Forse non siete ancora pronti per questo. Ma ai vostri figli piacerà”. ( Marty, Ritorno al futuro)

un matto
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14 maggio 2007

La trasferta. Ovvero del vuoto d'aria ascensionale nel tubetto di maionese

Igredienti:

  • prendete 13 amici, il novanta per cento dei quali schermitori, più altri non adepti per puro contorno.
  • Un volo low cost, un albergo low cost, una capitale europea che più nordica non si può.
  • Una data in febbraio e una perturbazione altalenante a legare il tutto.
  • Un autista di pullman improbabile.
  • Voltaren (q.b.), molta birra, molti superalcoolici, affettati e formaggio in quantità.
  • Una manciata di banconote e monete straniere, di difficile interpretazione.
  • 2 aeroporti secondari, alcune hostess gradevoli.
  • Un intera popolazione alta bionda e statuaria.

Preparazione:


Prendete i 13 amici, riscaldateli con una lunga coda in tangenziale e riversateli nel primo aeroporto improbabile.
Aggiungete, a mo’ di spezia, cibo di terza categoria del suddetto aeroporto e il fragrante odore di incazzatura che i viaggiatori low-cost secernono quando vengono fregati con le tasse sui bagagli.
Mescolate il tutto su un aereo stretto,ma non troppo a lungo: giusto due ore. Nel mentre aggiungete una voce irritante e un po’ di odore di paura.


Scesi dall’aereo scaraventateli al freddo (diciamo -8°/-10°, dovrebbe bastare), che si secchino bene. Aggiungete la valuta straniera e lasciate che l’autista improbabile li conduca a velocità folli su sentieri sdrucciorevoli e curvi.
Per non stancarli troppo solo rampe di scale e metrò e poi cammino fino all’albergo.
Somministrate a tre di questi birra e cibo spazzatura per mantenerne vivo il sapore.
Lasciate riposare tutto al caldo per circa 5 ore.


Prendete poi la parte più cospiqua del gruppo (state attenti che nessuno rimanga nella pentola-albergo oltre l’ora stabilita) e buttateli al freddo, poi al caldo del palazzetto e all’odore acre delle loro e altrui divise.
Dategli vittorie, sconfitte, soddisfazioni e delusioni in buona alternanza per tutta la giornata.
Aggiungete una spruzzzata di Voltaren per renderli più credibili.
Fate in modo che la loro aspettativa per la serata lieviti con il trascorrerre delle ore, non c’è rischio che si brucino in questa fase, hanno tutti capito quali sono le cose importanti della vita.


Ricompattate ora il gruppo in una basla più grande, comincia la fase delicata della preparazione.
Riversate il tutto in strada, scolateli nella metro e infine distillateli ai tavoli di un pub.
Lasciate il tutto a bagno maria nella birra e nella carne per qualche ora.
Non fategli mancare incontri sinistri e confusi, lasciate che il tasso etilico monti in loro, insieme all’ormone impazzito.
Quando sono belli cotti, non un minuto prima, mi raccomando, riversateli fuori nel gelo totale, fateli raffreddare bene con raffiche di vento.


Lasciate che il gruppo si divida come meglio crede, la carne più fresca è quella che si mantiene meglio fuori.
Aggiungete una telefonata dal vecchio Stephan, per ammorbidire i pezzi più duri con lacrime amare.
Un gruppo lasciatelo riposare tra lenzuola di sfoglia, il resto gettatelo nella notte carbone e fategli inseguire il vero motivo della trasferta.


Mescolateli, raffreddateli e riscaldateli su scale, ascensori, scale mobili, strade, metro e marciapiedi verso la loro Mecca serale.
Qualche minuto fermi al freddo ad osservare la popolazione autoctona che si intrattiene all’aperto in maglietta e poi versateli tutti nella discoteca più improbabile che ci sia.
Lasciate che l’edificio sortisca il suo effetto, aggiungendo popolazione locale alta e bionda in quantità (non preoccupatevi della dose, ne possono assorbire moltissima) poi estraeteli cotti ed inccreduli, e che rimangano un po’ insoddisfatti.
Concedetegli un taxi attraverso la città inspiegabilmente ancora in festa.
Ancora qualche ora di riposo.


Svegliateli ora per l’ultima fase, aggiungete colazione ignorante q.b. e poi l’ultima lunga dose di freddo.
E’ bene che la carne si divida qui a suo piacere, preferisce mantecare alla sola vista dei più intimi.
Lasciateli dunque vagare tra freddo e caldo con i loro occhi vuoti.
Scrostateli infine dalla città ributtateli in pulmann per qualche istante e poi in aereo, non fate loro mancare qualche hostess e un’ultimo scorcio di tundra.


Fateli infine tornare tutti al bell’ovile, pronti per essere gustati subito o conservati in freezer.


Assunzione:


Si consiglia un’assunzione almeno una volta l’anno, sempre nello stesso periodo.
La ricetta ha il solo ed unico scopo di riequilibrare le componenti di scherma e sperma nel vostro sangue.
Del resto è noto che chi rimane troppo spesso senza trasferte si dimentica presto il vero senso dell’esperienza S&S.

io sono io

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13 maggio 2007

Atene, 410 a.C. in un salotto come tanti (part two)


Riassunto delle precedenti puntate:

Agatone ha ragione, Come puo' Aristode' Perder tempo, ahime' Nel simular tenzone?

Come puo' Aristodemone, Alle fresche vagine Dallano vergine, Preferir la lezione?

Sara' mica ricchione Il nostro Aristodemo, Il cui piacere estremo E' la doccia in comunione?

Come puo' portar rispetto Solo a Zeus il Gran Villoso, Quando la' nel bosco ombroso A lui la virgo mostra il petto?

E Dioniso molto offeso Lancera' maledizioni Su quei giovani secchioni Che il suo vino non han preso.

Agatone sono certo Che di armi non e' esperto E in battaglia chi piu' temo E' il nostro caro Aristodemo.

Ma se penso a quella sera Delle molestie alla vestale, Noi tutti in gruppo si era Uniti nellatto di sfondare

Tutti tranne Aristodemo Che da solo ci guardava Tra le mani aveva il remo Che con gusto massaggiava.

_______________________________

Socrate: “Caro Aristodemo, non lasciarti tangere da tale cinismo. Credimi, Agatone neanche immagina quale divina soddisfazione vi sia nell’urlo di Ares il Distruttore, che prorompe spontaneo nell’esultanza del vincitore di un combattimento. È un momento, pochi battiti di cuore, in cui l’uomo, illuminato e annullato al tempo stesso dal dio, ne può assaporare l’incommensurabile potenza.
In quel momento di vittoria, nulla è risolto della vita terrena, ma nulla conta più.”


Aristodemo: “Sì, presumo in effetti che un’esperienza simile sia ristretto privilegio di chi si dedica alle armi.”

Agatone: “Ammesso che esultare come una scimmia possa dirsi esperienza trascendente, stiamo dando per scontata la vittoria, il che può valere forse solo per un talento come Aristodemo, ma non certo per la maggior parte dei combattenti.”

Aristodemo: “E’ ancora diverso da ciò che dici. Tu mi lusinghi, Agatone, ma ti assicuro che nemmeno Ercole in persona affrontò mai alcun duello sicuro del buon esito.”

Agatone: “E allora, suvvia amici, non vedete anche voi ora chiara l’inutilità di tanta pena a fronte di un’assai incerta ricompensa?”

Socrate: “Calma, calma Agatone. Certo vincere è difficile. Molto difficile.
Nell’inseguire una vittoria, durante un combattimento, un guerriero può trovarsi ad affrontare le difficoltà di una vita intera condensate in pochi attimi.
Continuare a imporsi sugli avversari a lungo, poi, può essere praticamente impossibile, quando lo spirito guerriero si infiacchisce, perché gravato di soddisfazioni passate e non più affamato di gloria. Ma proprio per questo, io credo che ogni singola vittoria, anche se minuscola, valga sempre almeno tanto quanto è costato ottenerla.
L’arte del combattimento insegna anche questo, cioè che vi può essere soddisfazione solo a seguito di grande e duraturo impegno.”


Agatone: “Ma, caro Socrate, tu stai adducendo delle argomentazioni metafisiche, per giustificare qualcosa che però è molto, e, anzi, esclusivamente fisico. La validità di ciò mi pare questionabile. Come mi giustifichi fisicamente un’attività violenta, che non fa altro che prosciugare le energie, esponendo inoltre chi la pratichi al rischio di perniciosi incidenti?”

Socrate: “Dal punto di vista fisico, Agatone, non posso negare ciò che asserisci. Sicuramente l’allenamento esaurisce le energie dell’atleta. E il rischio di farsi del male sussiste. Innegabile.
Ma non è forse l’utilità di questo che ci insegna Eschilo nel suo Agamennone teatrale? E cioè che è solo attraverso il dolore, o la fatica nell’istanza specifica, che si può migliorare sé stessi, fortificarsi nel corpo e nello spirito. Se non ti bastano le parole del saggio Eschilo, hai davanti a te la dimostrazione di ciò in carne ed ossa.
Aristodemo, ti ricordi quando impugnasti per la prima volta una spada?”


Aristodemo: “A quattordici anni, mi pare.”

Socrate: “Ebbene non credo di farti un torto ora, dicendoti che tu allora sembravi uno di quei giovinetti, figli di qualche satrapo dell’Anatolia, che da là vengono ad Atene a studiare le statue di Fidia. Questi ragazzi, ricchissimi per nascita, vivono qui come a casa loro, costantemente circondati dal lusso e dalle comodità. Come sono deprimenti a vedersi… nelle loro vesti di seta dai colori sgargianti… Questi opulenti sudditi di Artaserse mi sembrano essere schiavi a loro volta. Schiavi delle loro portantine, giacchè le loro gambe non sopportano lunghi viaggi. Schiavi dei loro servi, giacchè necessitano di qualcuno che li protegga con dei teli dal Sole intenso. Schiavi, insomma, del loro stesso oro.
E tu, Aristodemo, mi parevi proprio uno di loro: molle e bianchiccio nel corpo, e molle nella mente, intimorito com’eri dai tuoi più esperti compagni d’armi.
E invece oggi guardati: sei sano, bello e forte, così come è giusto che sia un libero cittadino ateniese. Credi forse, Aristodemo, che in questa tua metamorfosi di crescita, i 6 anni di pratica con la spada non abbiano giocato un ruolo primario?”


Aristodemo: “Beh…ora che me lo chiedi…direi di sì.”

Agatone: “Ma che intendi Socrate? Le tue parole non mi sembrano meno doppie di quei maestri sofisti che tanto critichi.”

Socrate: “Quello che intendo, Agatone, è che un cittadino ateniese, intrinsecamente con la propria libertà, porta in sé quelle risorse mentali e fisiche tali da perseguire liberamente il bene proprio e della propria città; a differenza di un suddito persiano, che può permettersi di non esercitare la propria mente e il proprio corpo, ma a prezzo di un’esistenza di schiavo assai miserabile. In questo contesto, l’attività atletica svolge come sappiamo un ruolo primario, ma in particolare proprio l’arte di combattere si presenta come particolarmente adatta ad esercitare contemporanemente e armonicamente psiche e fisico di un individuo.”

Agatone: “Non sono convinto: ammesso che la spada abbia avuto benefici effetti sul fisico di Aristodemo, che grazie ad essa si è irrobustito in modo aggraziato e virile, quale sarebbe l’esercizio mentale nel menare colpi con il braccio?”

Socrate: “Credo che ancora una volta potrà essere il nostro giovane amico a dartene spiegazione. Aristodemo tu studi sofistica no?”

Aristodemo: “Sì, per diventare un giorno retore”

Socrate: “Ebbene, se richiami alla memoria quel tuo recente combattimento contro il campione di Rodi, credi ti renderai conto che l’analisi orientata alla tattica competitiva non è certo prerogativa o invenzione del tuo maestro Gorgia."

Aristodemo: “Non capisco che intendi, Socrate.”

Socrate: “Ricordi come andarono le cose?”

Aristodemo: “Sì, certo! Ricordo quel combattimento con grande gioia e soddisfazione”

Socrate: “A chi lo dici… mi hai fatto vincere 300 dracme quella volta… ma tornando a noi, ricordi allora che rispetto al tuo avversario pagavi un consistente svantaggio di esperienza, essendo lui di quasi dieci anni più vecchio di te, e pure in statura e peso di certo egli ti superava. Eppure…”

Aristodemo: “Infatti mi colpì lui per primo, e brutalmente.
Dopo aver incassato, capìì che non avevo la forza neanche per parare i suoi colpi, potevo solo cercare di evitarli superandolo in rapidità.
Lui si esaltò nell’inseguirmi, mi sfiorò ancora due volte.
Per un attimo disperai, perché tale era il divario di forza… e non potevo certo continuare a sottrarmi a lungo ai suoi colpi che mi incalzavano.
Credo però che in ciò la sete di sangue e gloria abbia offuscato un poco la sua mente.
Voleva distruggermi, per avere il massimo effetto sul pubblico, ma vedendo che non riusciva più a colpirmi, cominciò a ridurre sempre di più la distanza prima di sferrare i suoi attacchi.
Io avevo sempre più difficoltà a scappar via.
In compenso avevo individuato un suo modo piuttosto ripetitivo di prepararsi a colpire. Si poteva individuare un preciso momento in cui caricava i suoi enormi muscoli, e anche intuire la direttiva dell’attacco, che preferenzialmente era dall’alto in basso, per sfruttare al massimo la sua massa.
Alla sua ennesima preparazione ci ritrovammo vicinissimi.
Ebbi paura.
Troppo vicino per scappare, troppo debole e leggero per parare.
Puntai dritto al suo petto mentre lui ancora caricava il colpo, e finimmo entrambi a terra.
Ma io fui subito capace di rialzarmi, puntai la mia spada alla sua gola, e mentre i giudici mi assegnavano la vittoria, lui ancora non riusciva a respirare per il colpo al petto ricevuto.”


Socrate: “Senti Agatone? E non sono le dispendiose lezioni sofistiche a insegnare tutto questo, no… sono le ruvide e pesanti armi, sono le ore sotto il sole, nella polvere, nella sete. Ma non è solo la tattica, l’analisi di problemi e la sintesi di soluzioni…ci vuole anche la capacità di mettere in atto col corpo ciò che la mente elabora, laddove in un battito di cuore si decide la vittoria o la sconfitta.”


To be continued...

Alfred O'Law


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9 maggio 2007

Le aragoste assassine di Jake the Bloody Blade

Gentile redazione di Scherma & Sperma,

mentre frugavo di soppiatto tra le memorie di Jake the Bloody Blade, schermidore newyorkese dei primi del Novecento, ho trovato questi appunti scritti con inchiostro ricavato da liquidi seminali.
Se volete, potete pubblicarli in esclusiva sul vostro sito. Non chiedo nulla in cambio, se non un paio di milioni di dollari depositati in un conto svizzero.

Grazie per l'attenzione, Vi porgo l'altra guancia.

Guardamilano

Lo sportivo e l'aragosta
di Jake the Bloody Blade
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Sono uno sportivo.

Me ne rendo conto quando imperterrito continuo a combattere, nonostante abbia appena vomitato catarro a fondo pedana. O a bordo campo. O in piscina. O immerso in una vasca da bagno accanto ad una perfetta sconosciuta dopo una sbronza memorabile.

Questo e' lo sport.

Oltrepassare i propri limiti, per VINCERE!

Non mi si vengano a raccontare stronzate del tipo "l'importante e' partecipare". Se sapevo come andava a finire me ne stavo a casa, altro che partecipare!

Lo sport e' l'arte della violenza, e' un gioco battagliero, e' un assasinio metaforico. Non si combatte una guerra perche' fa bene alla salute, perche' tonifica i muscoli, o perche' se no quest'estate fai brutta figura in costume da bagno. Se vuoi un fisico atletico e' meglio che vai in palestra a guardare la televisione seduto sui tapis-roulant (pratica molto in voga ad inizio secolo, ndr). Se invece vuoi la guerra arruolati come volontario nell'esercito. Se pero' non ami troppi spargimenti di sangue, puoi praticare uno sport.

Ricordo di John Manfredo Tardonio, uno schermidore italo-americano apparentemente intelligente, che una volta mi disse di non provare interesse alcuno per la vittoria sportiva. Il giorno seguente morì ucciso da un'aragosta che non voleva finir bollita in pentola. Lo uccise tranciandogli di netto la giugulare. La polizia cercò la colpevole ovunque ma l'aragosta riuscì a scappare in Argentina, travestita da ex-terrorista. Una volta a Buenos-Aires scrisse un best-seller autobiografico dal titolo "Non dire aragosta se non ce l'hai in pentola" (Manfredo il giorno prima di morire mi saluto' con un caldo "Bella dell'aragosta e a presto!").

Spero che il sacrificio del Tardonio possa esserci d'aiuto per capire quanto sia importante vincere. Non dobbiamo arrenderci di fronte alle aragoste. Crostacei che non sono altro. Ogni giorno dobbiamo affrontare aragoste che tentano di sottrarsi alla loro sorte di prelibati e costosi secondi piatti. L'aragosta ti batte quando tu hai timore di ucciderla. E' normale, tutti noi ci immedesimiamo in cio' che abbiamo di fronte, e non vogliamo vederlo morire, un po' come al cinema. Io mi immedesimo in continuazione con cio' che ho innanzi, a volte mi capita persino con il computer. Quando devo andare a cagare schiaccio su "svuota cestino" (ebbene si, il pc c'era anche ad inizio Novecento, prima che l'invenzione della macchina da scrivere a vapore lo rendesse obsoleto, ndr).

Grazie allo sport possiamo pero' imparare ad affrontare le nostre paure piu' remote, le nostre aragoste piu' anguste e le nostre ostriche piu' ostiche. Possiamo imparare a VINCERE, DOBBIAMO imparare a VINCERE!

Questa e' l'etica sportiva. Questo e' lo sport.

Seguono alcuni trucchi per non essere dei perdenti a scherma:
1) Non fare gare: e' una questione statistica, vince uno solo, non potrai esser sempre tu.
2) Combatti contro i piu' deboli: i bambini sono perfetti come vittime sacrificali; con le donne invece devi stare attento, rischi di distrarti se hanno le tette grosse; con i vecchi mira alle rotule ed e' fatta.
3) Corrompi l'arbitro: metodo efficace ma molto inflazionato, rischia di dar vita ad un'asta con l'avversario per chi offre di piu'.
4) Fai fumare una canna all'avversario prima dell'assalto: senza dubbio la soluzione migliore, se non ti metti a fumare assieme a lui.
5) Fumati una canna prima dell'assalto: di vincere, a quel punto, non te ne importera' proprio piu' nulla.

Jake the Bloody Blade
New York City
Maggio 1907



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5 maggio 2007

La Spada e il Canzoniere








Son pensieri quelle gocce, non sudore,
e di spirito s’impregnano
infiammandoti lo sguardo, schermidore;
tua vera arma non la spada, è l’intenzione
nascosta dalla maschera e annebbiata d’emozione.

Non per vittoria o per sport, figurarsi
su quel palco di metallo
salire armati ed affrontarsi.
Mistica essenza in ciò che succede
che l’occhio del pubblico trascura e non vede.

Segreto premio, la luce di colpo s’accende
e il Tempo stesso per un attimo
qui all’arbitro si inchina e poi s’arrende.
Quale sintesi tal lampo del mondano vagare:
non per istanti luminosi l’uomo esiste e dopo muore?

Il senso della Scherma, frutto astratto
splende oltre la palestra, la pedana
ed in natura, trasformato, è dappertutto;
i movimenti dell’atleta, le sue azioni
sono queste della vita assonanze ed astrazioni.

Non è l’affondo il bacio atteso
che d’amor vinta quella guardia
infine tocca il suo sorriso?
La finta è dei mortali comune tra gli inganni
di chi con mano tesa e amica non aspetta che i tuoi affanni.

Da ultimo, di me vorrai sapere
che in rima ti racconto
ed io con questo nome: Spada, ora mi presento.
Sciabola e fioretto lasciamoli anche stare
Son quelle, m’hanno detto, delle armi per signore.

un matto

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3 maggio 2007

Atene, 410 a.C., in un salotto come tanti (part one)


Socrate: "Sì, versami pure ancora un po’ di quel rosso. Grazie Alcibiade."

Alcibiade: "Di niente. Ma cerca di stare sobrio ancora per un po’ maestro, perché mi pare che Aristodemo sia ansioso di parlare di qualcosa che ritiene importante."

Aristodemo: "Infatti. Voglio sottoporvi una mia questione, amici, nella speranza di poter usufruire della vostra esperta opinione. Negli ultimi tempi, con l’avvicinarsi dei sacri Giochi, mi sono dovuto allenare molto, e ora ne sono proprio stanco.
Ho faticato tanto, sapete, per rappresentare Atene ad Olimpia nella nobile arte di Aiace ed Achille; ma ora che ne ho la possibilità, quasi sono pentito della scelta, fatta anni fa, di intraprendere la via della spada."


Socrate: "Che cosa intendi dire, giovane Aristodemo?"

Aristodemo: "Ecco, mio padre spende un sacco di soldi per farmi frequentare la scuola di retorica del sapiente Gorgia, affinché io un giorno, una volta diventato abile oratore, possa costruirmi un nome come retore in agorà; magari come apologeta delle gesta degli eroi del passato, come l’illustre Isocrate, anche se ora come ora mi piacerebbe più di ogni altra cosa partecipare come avvocato di parte alle cause civili. Per questo assisto con entusiasmo alle lezioni del maestro Gorgia. Egli pare davvero illuminato da Atena dallo sguardo scintillante quando si tratta di argomentare con arguzia una tesi, e voglio perciò imparare bene da lui, sicuro che un giorno potrò mettere grandemente a frutto il sapere di cui vengo messo a parte alla sua scuola. Eppure i miei progressi ultimamente sono stati esigui, nonostante vi abbia dedicato il massimo del mio tempo e delle mie energie, per quanto gli allenamenti per i Giochi me lo hanno consentito.
Il fatto è che gli allenamenti per gli atleti in preparazione ai Giochi sono durissimi, occupano gran parte delle mie giornate, lasciandomi assai poche energie da dedicare alla pratica retorica; inoltre sarebbe gravemente disonorevole verso Zeus Olimpio presentarsi alle competizioni atletiche in suo onore senza esservisi adeguatamente preparati. Certo inoltre è per me motivo di grande orgoglio rappresentare Atene ai Giochi, con la speranza e la determinata intenzione di strappare agli Spartani il loro altezzoso primato. Ma a volte non posso fare a meno di pensare a quanti sacrifici sto facendo per tutto ciò. La fatica, mentale e fisica, di allenarsi e prepararsi alla competizione, nel modo più completo possibile, alla lunga spesso mi lascia vuoto, esaurito.
Allo spadaccino è richiesta la rapidità di un corridore e allo stesso tempo la forza di un lottatore. Non è facile, ma ciò con sacrificio si può ottenere, perché comunque il corpo alla lunga tende sempre ad adattarsi allo sforzo che gli si chiede di fare.

È lo sforzo psichico che forse è ancor più costoso di quello fisico. Non essendo spinto dalla necessità, mantenere la mente a lungo concentrata sull combattimento mi risulta arduo.
Mi costa proprio tenere vivo in me lo spirito bellicoso… soffiare sotto la fiamma della voglia di vincere, di superare l’avversario con tutto me stesso. Soprattutto dopo aver già vinto in passato… Insomma vedo che la determinazione a vincere è in me un fuoco che brucia rapidamente, e che è difficile riattizzare più di tanto. Una volta che questo fuoco si spegne non posso far altro che aspettare del tempo, anche più di un inverno a volte, affinché la fiamma si ravvivi, secondo qualche volere, a me del tutto ignoto, di Ares il Brutale.

Così il tempo mi passa come sabbia tra le dita, sto passando i miei anni migliori tra allenamenti dispendiosi, risultati agonistici altalenanti, studi che molto promettono e che per ora nulla restituiscono. Vi dirò pure, cari amici, che di recente, in qualche momento di sfiducia, sono pure arrivato a pensare di aver sprecato tempo dedicandomi alla spada."

Agatone: "Eccome se l’hai sprecato, Aristodemo!
A faticare con esercizi ginnici, a sudare menando colpi con armi finte, ma altrettanto pesanti di quelle vere. A correre nel freddo invernale così come sotto il calore impietoso di Helios che illumina i cieli. A impolverarti nel ginnasio come fossi ancora un fanciullo in età scolare.
No amico mio, tu davvero ti occupi di attività non più degne di te, che sei uomo ormai fatto. Dedicandoti alle armi tu ti abbassi a un livello troppo umile per chi come te potrebbe avere ben altro.
Sei ricco, giovane, bello e popolare. Libero cittadino della polis più potente e influente.
Andiamo, anche tu, Aristodemo, quando te li concedi, apprezzi parecchio quei piaceri mondani che potrebbero riempire la tua vita, se tu non passassi le giornate con lancia e scudo…"


Aristodemo: "Veramente io combatto con la spada…"

Agatone: "Si scusa, comunque, quel che voglio dire è che ti privi di tali e tante cose…ti ricordi ancora che sapore ha il vino di Cipro? Per non parlare del fatto che non c’è donna dell’Attica che non ti si concederebbe… più ci penso più rimango perplesso. Sei una persona intelligente, eppure tu scegli di vivere similmente a uno stupido spartano.
E per che cosa? Tutto per i Giochi a Olimpia? Certo, è tutto in onore di Zeus; ma bisogna pur onorare con dedizione anche Dioniso con libagioni di vino; rendere omaggio ad Afrodite Etera frequentandone le sacerdotesse con assiduità, e ci sono poi come ben sai molte altre divinità che è bene non inimicarsi.

E se poi ai Giochi non dovessi ottenere il risultato a cui punti? Ci hai pensato? Insomma non è certo detto che Zeus ti assegni poi la vittoria, nonostante i tuoi sforzi; chi ti restituirà questi anni di allenamenti? Avrai buttato via tutto; nessuno si ricorda dei vinti; anzi a dire il vero nessuno si ricorda nemmeno il secondo classificato.
Ma consideriamo anche l’ipotesi ottimistica di una tua vittoria…
Aristodemo come mai la tua mano sinistra sta toccando i tuoi testicoli mentre la tua destra forma una strana figura con indice e mignolo?"


Aristodemo: "No…Niente, scusa…Si vede che non sei un atleta comunque. Continua, ti seguo."

Agatone: "Insomma dicevo, immagina in un’ipotesi ottimistica di poter tornare ad Atene con il sacro alloro dei vincitori. E poi? Potrà questo ripagarti di aver vissuto, tu libero Ateniese, più duramente di un umile contadino della Tessaglia?"

Socrate: "Forse non nel senso che intendi tu, Agatone. Eppure fossi in te mi tratterrei dal criticare qualcosa che non conosci come l’arte della spada, e comincerei ad osservare che obiettivamente in Aristodemo deve scorrere almeno un filo di nobile sangue acheo, di Aiace Telamonio o di Achille il Pie’ Veloce."

Agatone: "Questo certo non si può negare."

Socrate: "Infatti già da più di un anno Aristodemo sta ottenendo vittorie illustri nei combattimenti con la spada; vittorie degne di ammirazione, e motivo di vanto per Atene che ha dato i natali a un talentuoso siffatto. Prima entro le mura, poi in giro per tutta l’Attica.
Quindi, Agatone, ti invito quantomeno a rendere un briciolo di onore a chi tiene alto il nome della tua città.
Anch’io in gioventù ho impugnato la lancia e lo scudo; anche se più per necessità dei tempi che per vocazione, a dire il vero. Ciò non cambia il fatto che conosco la natura del combattimento abbastanza da rispettarla, al contrario di te, Agatone."


Agatone: "Che cosa c’è di rispettabile nella simulazione di un combattimento? Che cosa può venirne di buono? Che cosa può portare se non fatica e dolore?"

Socrate: "Frustrazione, nella sconfitta."

Agatone: "Ah ecco, dicevo bene…"

Socrate: "Ma altrettanta gratificazione nella vittoria. Una volta un saggio disse che la vittoria è figlia di molte sconfitte."

Aristodemo: "Davvero!"

Socrate: "Ebbene sarebbe anche opportuno dire che la gratificazione nella vittoria sarà tanto maggiore quanto grandi saranno state le frustrazioni nelle sconfitte passate e le difficoltà nell’ottenere la vittoria. Una lezione utile, a parer mio."

Agatone: "Mah…forse una lezione sull’inutilità della fatica!"
...

Alfredo di Legge

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