28 marzo 2008

L'universo mentale di Marzia

Essere capaci di raccontare una storia, di per sè, non ne garantisce il successo. Serve che dall’altra parte ci sia qualcuno disponibile a recepirla e a calarcisi dentro, che non è una automatica conseguenza dell’abilità del narratore. Lui, se è bravo, può tutt’al più agevolare questo travaso.

E’ così che avviene la vita: tutto ciò che c’è buono e tutto ciò che c’è di male passa per qualcun altro per arrivare a noi. Questa tappa obbligata è la comunicazione.
E comunicazione,in effetti, è la vera definizione di cultura. Quella cosa che rende uomo l'uomo.

Quando Marzia è cascata è iniziato il suo nuovo racconto. Curiosamente le vicende umane si svolgono indipendentemente dal fatto che qualcuno presti attenzione. Pare infatti che non si possa fare a meno di raccontare: è insita in noi la condivisione del pensiero. La vera scelta invece sta nell’ascolto.
Per questo come tante altre quella di Marzia è una storia poco seguita ed io mi ci sono trovato più o meno a caso facendo zapping. In quel momento non davano niente di meglio.

Non è che Marzia ricordi di preciso la dinamica dell'incidente e in effetti non è questo il punto. Dico che è un dettaglio rispetto al resto.
Il resto è che ha ventun anni e quattro mesi fa, prima di quella gita in moto, giocava a pallavolo da professionista. Non è certo una che molla ed è qui per questo, solo vorrebbe provare qualcosa senza troppi contrasti perché anche se la dinamica non le è del tutto chiara, l’urto lo ricorda come nient’altro.

La paralisi è una condizione che obbliga ad uno sforzo mentale senza paragoni. L'elaborazione del mondo che ci circonda è un processo psichico che si avvale del corpo per la realizzazione. Rendere reale il pensiero attiene alle nostre mani e agli occhi, ai nostri organi sessuali e alle nostre gambe, senza il cui appiglio c’è il rischio di fluttuare in un universo sconfinato costellato di idee e desideri, emozioni e volontà.

Quanto è bella Marzia, essere umano per davvero: orgoglio e fugacità, necessità di parlare e di farsi ascoltare. Obbediente alla natura.
Digrigna il suo racconto, ascolto giù giù in immersione profonda suono ovattato e colore sbiavato, urgenza di riemergere a riprendere fiato...
È che avevo altri pensieri. Ed ero un po’ stanco. Ed ero anche un po’ nervoso. E fondamentalmente io non lo conosco il valore della vita.
Non l'ho mai più incontata.

Aries

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25 marzo 2008

Cronaca di una gara, ovvero del disegno di Calliope nuda ricalcato con la carta carbone

Ucciderò questo suono che mi trapana il cervello, ne distruggerò la fonte. Devo solo capire da dove cazzo arriva, un attimo fa sembrava lontanissimo e adesso voglio spaccare tutto...ah no, calma, è solo la sveglia del cellulare. Ok è mattina... No, cazzo non può essere, deve essersi sbagliato, si sono sicuro che è così, una sveglia accidentale nel cuore della notte.... no merda, l'orologio parla chiaro, ma non può essere vero... ok, lo devo spegnere, ma dove cazzo sono? Ah, ok in albergo, devo solo arrivare al tavolo, Dio mio se non lo spengo uccido qualcuno... eccomi cazzo! Ok, spento. Forse non ho rotto il telefono stavolta. Come fa lui a non accorgersene mai? Mi tocca svegliarlo anche stavolta: sembra quasi morto...ok doccia, fiatella e pentimento... basta con ste cene pregara, basta fare tardi, la prossima volta alle undici cazzo, alle undici...
Non ho ancora capito come facciamo a prenotare sempre gli alberghi più viscidi, ma la segretaria cos'ha in mente? C'è odore di muffa, la moquette è ruvida, il caffè lo lasciamo stare eh... la brioches è di gomma e poi è già ora... ok, almeno non mi son perso niente.
Non ho mai visto questa città con luce del sole, o con gli occhi del tutto aperti. prima o poi...ma il palezzetto lo spostano ogni volta? Ok trovato.Bene, il solito freddo assassino, almeno non puzza dal giorno prima... secondo caffè di dubbio gusto, dal terzo in avanti non ne sentirò più saporaccio.
C’è sempre un piccolo brivido al primo contatto della pelle delle gambe con la divisa ghiacciata. Almeno da quando ho smesso di mettertela in albergo la mattina presto. La giubba è sempre meno traumatica, e così anche la corazzina, sempre che uno non si sia allenato fino a tarda sera il giorno prima (rischio che non corro). La pelle non si abituerà mai alla plastica del passante, mentre la calvizie non è che l’abitudine declinata secondo il mio cuoio capelluto. Più è banale e in provincia la gara, più farà freddo: meno motivazione avrò e più tardi sarò andato a letto la notte scorsa. E le gambe saranno sempre più di marmo.
Il riscaldamento però, è una necessità: mi sono già fatto male e non mi è piaciuto. Non mi è mai neanche piaciuto del tutto l’assalto a cinque, che ha il sapore di una sveltina, specie se in periferia e con gli occhi impastati dalla sera prima. Con un po' di fortuna farò il possibile per passare. In unico slancio di adrenalina incontrerò un amico di vecchia data, probabilmente all’ultimo assalto del girone: finalmente le mie gambe e il mio cervello raggiungeranno il resto di me in questa piccola arena e polmoni e stomaco faranno capolino facendomi sentire finalmente un pezzo unico sotto la divisa che inzupperò di nuovo a dovere.
Con un po’ di fortuna il panino non mi si pianterà sullo stomaco e vedrò, attonito, gente che ricomincia a correre accanto a me. Il riscaldamento dopo i gironi è sopravvalutato. Finalmente arriviamo al dunque e l’arbitro che si ricorda improvvisamente di avere un peso e uno spessimetro, avrà una faccia da occasioni quasi grandi. È da ore che aspetto di iniziare a tirare, se consideriamo il ritardo patologico della giacchetta rossa in direzione e l’inutile rito del girone: le prime due o tre le butterò lì di fretta, probabilmente pentendomene. Nel trambusto creato dalle prime fasi della diretta avverrà il vero e proprio ritorno alla vita: eccomi qui, caldo e in tempo come non mai.
E finalmente sono dentro: braccio, gambe, stomaco e polmoni.Tutto acceso e in moto, qualche pezzo è già fuori giri.
Quanto ci resterò è il risultato di un'equazione che non ho mai ancora capito bene del tutto..

io sono io

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20 marzo 2008

Settecentocinquanta grammi [#4]

Ho quasi finito le t-shirt per tirare.
Quelle di cotone ultraleggero, con scritti gli sponsor. Una volta, per ogni gara, erano diecimila lire e una maglietta.
Mille gare, mille magliette.
Poi son venuti gli asciugamani, poi i pezzi di asciugamano, poi gli integratori scaduti e la pacca sulla spalla della giacchetta rossa in direzione... e i dieci euro.

Pensiero negativo della serata:
ormai ho quasi finito tutte le t-shirt.
Sono vecchio, anche il mio armadio lo sa.
E' ora di farla finita?

io sono io

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3 marzo 2008

Settecentoconquanta grammi [#5]

Mi chiedevo dove volesse andare a parare
Ma lei, stronza, ha tirato dentro.


Aries

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