5 settembre 2007

Ritratti immaginari: Lui non va alle gare.

E' sempre stato uno spilungone e per questo a volte i suoi compagni di classe lo prendevano in giro. Quello che odiava di più era camminare in mezzo ai banchi per raggiungere il suo posto mentre intorno risatine e mormorii commentavano la lunghezza esagerata delle sue scarpe da basket. Suo padre, un farmacista introverso di sessantacinque anni, gli diceva spesso che "l'altezza procura rispetto e dignità di portamento" e che anche suo nonno era alto e per questo molto stimato, tanto che "molte persone importanti compravano le medicine da lui". Sua madre annuiva con rispetto, trovando l'occasione buona per ricordargli il valore del denaro e di una piccola impresa familiare come la loro. A scuola prendeva voti discreti senza eccellere in nulla, non si è mai veramente inserito in un gruppo e passava l'intervallo a sfogliare riviste di videogiochi con un ragazzo grasso del primo banco che in realtà non sopportava. Il vero momento di riscatto sociale era per lui l'ora di educazione fisica in cui si giocava a basket, il martedi e a pallavolo, il venerdi: grazie alla sua statura veniva sempre scelto tra i primi e si sentiva orgoglioso. Per qualche anno ha anche giocato in una "vera squadra agonista di basket", come diceva lui, nel piccolo sporting club sotto casa. Poi però ha smesso, dopo aver mentito a sua madre per un anno per coprire le bigiate sempre più frequenti, perchè non aveva il minimo talento ed era, anzi, del tutto scordinato. Fu a quel punto che iniziò a fare scherma. Ha preso in mano il primo fioretto durante una vacanza in egitto provando una delle attività sportive proposte dal villaggio turistico in cui si trovava. All'inizio si sentiva molto insicuro dietro alla maschera scura di plastica ma dopo un pò sentiva di "averci preso la mano" e vinceva contro tutti gli altri ragazzi, anche quello grosso più grande di lui di due anni. L'animatore aveva detto alla madre che secondo lui il figlio aveva molto talento e lei, raggiante, aveva deciso di iscriverlo ad una palestra di Milano. Il primo maestro che ha avuto era un italiano piuttosto anziano che credeva nella scherma dei vecchi tempi e nell'importanza di saper fare correttamente l'affondo. Ogni lezione lo faceva restare immobile per minuti interminabili, spiegandogli che la postura corretta è un elemento essenziale del vero schermidore, ma in realtà il motivo di questa pratica era che ormai alla sua età, settantadue anni, si muoveva con difficoltà e anche reggere la spada lo affaticava molto presto. Si trovava bene però con questo vecchio maestro, gli piaceva quel suo modo di fare un pò all'antica. Riconosceva in lui un vero saggio, si sentiva estremamente fotunato e pensava che avrebbe imparato molto da lui. Quando iniziò a tirare fu un vero disastro: le lunghe pose sostenute a lezione e le migliaia di affondi fatti anche nel giardino di casa, ammirato dalla madre e dal fratello piccolo, non lo avevano reso assolutamente capace di cavarsela in pedana. Si muoveva nervosamente, spesso faceva inutili e rumorosi affondi a vuoto, del resto l'unica azione che riusciva a fare e a immaginare. Perdeva quasi sempre, tranne con una donna di quarant'anni da poco approdata alla scherma e un ragazzino magro di cui non ricordava mai il nome. Cercava però di non demoralizzarsi, convincendosi che presto la sua scherma all'antica, i suoi goffi affondi e il saluto pomposo e perfetto che si ostinava a fare prima di ogni assalto lo avrebbero reso un atleta forte e rispettato. Presto una cirrosi alcolica in stato parecchio avanzato costrinse il maestro alla definitiva pensione e lui venne affidato ad una giovane insegnante polacca, sorridente ma di poche parole. Con lei le lezioni erano completamente diverse, molto più faticose e difficili. In realtà stava imparando per la prima volta i banali fondamenti della scherma moderna, assai lontani dai poetici e dolci insegnamenti del maestro precedente. In pedana però le cose non miglioravano e lui si sentiva sempre più insicuro. Gli sembrava impossibile che gli altri riuscissero a fare quelle combinazioni di movimenti che lui trovava così complicate, che capissero sempre facilmente le sue intenzioni quando cercava di attaccare con le sue larghe cavazioni o insicure battute di ferro. Si scoprì un giorno a rimpiangere il basket, "uno sport vero", pensava, non come la scherma che è così strana. Da allora sono passati sette anni e lui, senza capire davvero perchè, non ha mai smesso. I suoi genitori adorano il fatto che faccia scherma e lui una volta gli ha anche detto di aver vinto una gara sociale e suo padre gli ha comprato dei polsini dicendogli che stava diventando un uomo. Ama spiegare ai suoi amici la differenza tra spada, sciabola e fioretto e dice sempre che il suo è uno sport bellissimo e molto particolare, non come il calcio.Va in palestra due volte alla settimana, molto regolarmente. Salta la corda per un quarto d'ora, fa stretching, addominali, poi va a tirare e ogni tanto fa lezione. Non è migliorato, perde molto spesso e fa sempre la flèches, che crede di eseguire alla perfezione. Alla fine dell'allenamento prende sempre un'aranciata amara dal distributore della sala e torna a casa in tram ascoltando metal nell'ipod. Pensa che la scherma gli piaccia e spera sempre di diventare forte, un giorno. Non va alle gare, dice che "non servono".

un matto

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