31 gennaio 2008

Ritratti immaginari: E' un po' come non esistere

Si alza presto la mattina, anche se comincia a vivere soltanto nel pomeriggio.
Ultimamente, lontano dalle pedane gli sembra quasi di avvertire una sensazione di irrealtà, di inconsistenza, mentre il tempo si allunga nella cucina luminosa e sporca della sua piccola casa. Quando sua moglie era ancora viva, non si sentiva mai così, anche se adesso è sempre più difficile credere di essere mai stato sposato. Ricordare è difficile, meglio fare. E non pensare.
A colazione beve soltanto un caffè senza zucchero lasciando scorrere lo sguardo, ancora intontito dal sonno, tra gli oggetti domestici che lentamente tornano familiari: alla sua età, come dice lui, ci vuole un pò per carburare. Con poca cura, si lava e poi si veste, infine scende a comprare il giornale. Al ritorno scambia spesso due chiacchiere con il portiere, qualche facile e amara ironia sulla politica o sull'economia del paese, formulata con scarsa competenza e un certo qualunquismo. L'ideale, per un rapporto superficiale e cortese. Legge il giornale in soggiorno, dalla prima all'ultima pagina, alcune più in fretta di altre, cercando di non controllare mai l'orologio, sperando che le lancette corrano più velocemente del giorno prima. Il giovedì compra anche l'inserto e riesce a passare quasi tre ore immobile nella vecchia poltrona e immerso nella lettura. Quando ha finito, torna in cucina e si fa un altro caffè, mangia una banana e lava i piatti sporchi della sera precedente; pulisce il tavolo e i fornelli e intanto ascolta la radio arancione anni cinquanta che gracchia sulla credenza. Fa un giro per la casa, svuota i posaceneri, spolvera le mensole e aspetta. Aspetta che la mattina passi, come una malattia. E più aspetta, più il tempo scorre lentamente, spalancando un senso di vuoto. E' un pò come non esistere e, in effetti, in questi momenti lui non c'è. Si è svegliato, certo, ha comprato il giornale, ha parlato al portiere e via dicendo ma...dov'era? A volte se lo chiede, mentre ascolta il suono sordo della sua assenza e, come un fantasma, invidia il mondo dei vivi.
Poi, finalmente, un altro pomeriggio. Sente i suoi pensieri cambiare ancora prima di uscire di casa, quando prepara la sacca sul letto matrimoniale ancora sfatto. Arriva spesso per primo nella palestra ancora buia, accende le luci e la sua vita comincia in quel momento, il suo corpo si risveglia così come la sua coscienza, scalzando improvvisamente le ombre del mattino. Indossa la tuta, controlla l' attrezzatura da maestro, cerca la spada appesa al muro, la maschera, e cammina qualche minuto lungo le pedane. Tra poco arriveranno i bambini, più tardi gli atleti più grandi. Insegnare scherma, per lui, non è solo un lavoro, non più: significa partecipare di un senso, uno qualsiasi, che gli ricordi un motivo per restare presente a sè stesso. E' così facile lasciarsi andare. Quando fa lezione, impartendo consigli e sudando sotto la maschera, mentre intorno la palestra si riempie di voci, di persone, di grida, luci che si accendono tra i suoni acuti degli apparecchi, la potenza della vita si impossessa nuovamente di lui. Allora svanisce il peso dei ricordi, dei mesi in ospedale accanto alla moglie e della fatica, per la sua mente, di non pensare e fuggire sempre altrove. La palestra si trasforma in una casa. Non sarebbe male svegliarsi direttamente lì, senza neanche passare dal mondo. A volte a quel pensiero sorride, a volte piange.

un matto


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4 commenti:

eusebio ha detto...

mi sono commosso (ma io sono uno dalla lacrima facile...:) davvero bello, complimenti!

Nemo ha detto...

Eppur qualcuno mi ricorda

Anonimo ha detto...

grandissimo post

(zoppo)

Anonimo ha detto...

Se la persona descritta nell'articolo esistesse veramente dovrebbe rivedere le proprie priorità.
Non si può vivere in funzione di uno sport..