Ritornare a Parmenide
"A mio parere, dobbiamo accettare il fatto che l'opera resterà incompiuta nel suo titanico compito. Ciò nondimeno credo che l'impresa sia meritoria e assai degna del comune sforzo, collocandosi nella sfera delle sfide più ardite che la ragione umana abbia mai affrontato". (A. Di Legge, a proposito della Misura)
Senz'altro appropriato, a mio avviso, questo commento del Di Legge nel corso di un suo brillante excursus sulla misura ("Che cos'è la misura", Copyright 2006 Scherma&Sperma).
Con questo scritto l'autore rimarca innanzitutto alcune importanti analogie tra la fisica quantistica e le dinamiche schermistiche; in particolare, seguendo un principio di "dualità non antagonistica" (PDNA), già noto e compreso in riferimento al rapporto Massa/Energia, il Di Legge deduce giustamente la possibilità di trasformazione e realizzazione del Tempo in Misura.
Credo però che a questo punto la profondità raggiunta dall'analisi del problema meriti il ritorno a questioni fondamentali e ineludibili del pensare umano. Se finora la discussione si è articolata sul terreno della fisica e dei suoi sviluppi recenti, propongo adesso una riformulazione puramente filosofica degli argomenti, nella speranza di illuminare nuovi sentieri lungo i quali avvicinare le risposte.
Ritornare a Parmenide
Inevitabile, per chiunque si proponga di comprendere a fondo il pensiero moderno, il confronto con l'antico pensiero greco. La stessa scienza moderna discende direttamente dalla Grecia: è stata infatti la filosofia a creare, si può quasi dire "dal nulla", le categorie fondamentali attraverso le quali si declina il ragionamento scientifico, anche il più recente.
Per quanto riguarda la questione qui trattata, la Misura e le difficoltà alla sua piena comprensione e messa in pratica, ritengo utile un ritorno all'opera del filosofo Parmenide (Elea, VI sec. a.c.) e del suo allievo Zenone.
Se, in virtù del PDNA esplicitato dal Di Legge è possibile supporre una conversione del Tempo in Misura, quest'ultima, a sua volta, implica senz'altro un'immediata accetazione del movimento e quindi del Divenire, in direzione di una molteplicità fondamentale dell'Essere stesso (inevitabilmente, per avere una "distanza" da gestire durante un assalto deve esistere innanzitutto uno spostamento ossia un divenire degli avversari e, più in generale, di "cio che è", dell'Essere).
Il pensiero di Parmenide intendeva invece opporsi a tutte le filosofie del molteplice e del divenire, di cui egli rilevava acutamente la contraddittorietà. Partito dal riconoscimento logico e metodologico delle esigenze del pensiero e del discorso, l'eleatico giunge a dichiarare l'impensabilità, l'inesprimibilità e l'inesistenza del non-essere e la parimenti assoluta esistenza dell'essere, che condiziona la possibilità di pensare e dire il vero. All'essere non potrà venir riferito, per l'opposizione ora accennata, alcun attributo che possa in qualche modo diminuirne la positività, assimilandolo al non-essere. Ci si dovrà limitare a dire che esso è uno, invariabile, immobile, eterno. E come possiamo conciliare la concezione parmenidea dell'essere col fatto incontrovertibile che l'esperienza ci presenta continuamente degli esseri molteplici, variabili, temporanei? Secondo Parmenide non vi è altro da fare che respingere la nostra spontanea fiducia nell'esperienza, riconoscendo che essa costituisce per l'uomo una via di conoscenza illusoria. In parole povere, seguendo questa concezione, guardando un assalto di scherma dovremmo cercare di elevare la nostra prospettiva fino alla visione dell'essere assoluto e immobile, oltre le illusorie parvenze di movimento, passi avanti, affondi e stoccate.
I paradossi di Zenone
Zenone di Elea, più giovane di Parmenide di circa venticinque anni, fu un ingegno acuto, sottile, vigorosamente polemico. Per gli argomenti ideati a difesa dell'unità ed immobilità dell'essere e per il suo metodo di discussione, Aristotele lo considerò il fondatore della dialettica. Nientemeno. L'originalità del metodo zenoniano consisteva nell'assumere a punto di partenza la tesi da confutare e nel dedurne rigorosamente tutte le logiche conseguenze, per mostrarne la contraddittorietà e di conseguenza l'assurdità della tesi.
I celebri argomenti di Zenone a difesa della filosofia di Parmenide mirano a provarci che, se la negazione del movimento e della molteplicità può a prima vista parere assurda, l'ammissione di essi conduce tuttavia ad assurdità ancor più gravi, nascoste, ma non risolte, dal linguaggio ordinario. Il perno di tali argomenti consiste nella dimostrazione che, sia nella nozione di movimento, sia in quella di pluralità, si annida il delicato concetto di infinito.
Applichiamo ora un tipico argomento zenoniano al concetto di misura schermistica:
-Immaginiamo che uno schermidore debba spostarsi da un estremo all'altro di una pedana: prima di aver percorso tutta la pedana dovrà aver percorso la metà; prima di questa, la metà della metà, e così via all'infinito.
In modo analogo, se Rota vuole raggiungere un lentissimo schermidore obeso di 70 anni, che si trova al momento troppo distante per essere raggiunto da una devastante presa di ferro e affondo, dovrà innanzitutto percorrere il tratto s che li separa, poi il tratto s' percorso dallo schermidore obeso mentre Rota percorreva s, poi il tratto s'' e così via, all'infinito.
Verso la Quarta Dimensione
In questi esempi il movimento si frantuma dunque in infiniti moti, sia pure sempre più piccoli ma non mai nulli. Proprio questa loro infinità è causa di profonde difficoltà concettuali, che non possono non rendere perplesso qualsiasi uomo disposto al ragionamento.
E' bene ricordare che gli argomenti zenoniani non sono certo semplici sofismi o pseudoragionamenti. In realtà essi attirano efficacemente la nostra attenzione su alcune gravissime difficoltà dei concetti di movimento e lunghezza e quindi, infine, di Misura.
Si esprime assai bene il Di Legge:
"Il problema che in questa sede ci stiamo ponendo, dobbiamo riconoscerlo, si trova ai limiti delle possibilità di comprensione della ragione umana"
Personalmente sono convinto che, se una reale e piena comprensione della misura ci è ora preclusa da limiti cognitivi del cervello e della mente umana, allora potrebbe avere senso parlare di inaccessibilità a quella Quarta Dimensione che forse tutto chiarirebbe. Ma, almeno per ora, i nostri assalti di scherma sembrano confinati negli stretti ranghi delle tre dimensioni.
O forse no?...
un matto
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